Maria Accascina. Ottocento Siciliano: Pittura. Fratelli Palombi, Roma, 1939, pagg. 73-74
[...] Migliore di tutti fu ANTONINO GANDOLFO, che, allievo di Giuseppe Gandolfo e di Stefano Ussi pareva destinato anch'egli a continuare il rigore disegnativo, applicandolo al nuovo contenuto di interesse sociale. Ma se fu a Firenze verso il '60 è probabile sia stato presente alla Mostra del '61 nella quale i « tredici » tra i quali l'Ussi, protestavano contro le regole accademiche, affermando i valori della macchia. E con i macchiaiuoli dovette stringere rapporti e, comunque, di questo più immediato e fresco modo pittorico egli dovette avere conoscenza, sicché quando ritorna in patria e comincia a dipingere avviene in lui, in sul principio, una naturale indecisione tra uno stile di derivazione neoclassica e il nuovo consiglio dei macchiaiuoli. E intanto l'ambiente era poeticamente e letterariamente intriso di simpatie socialdemocratiche, era intriso di idee filosofiche e, tra il Rapisardi, il Verga, il Capuana, tutti, letterati, artisti, poeti credevano alla finalità didascalica dell'Arte. Il compiacimento politico doveva pur esprimersi in pittura ed il Gandolfo volle esprimerlo nel «Trionfo dell'Italia », che, lodato dal Carducci, dovette essere, è da supporre, un inno, non una pittura! E si mette anch'egli a dire, con la parola pacata e onesta, sui poveri, sui derelitti, non con la spietata angoscia di Reina, ma con la tristezza, l’intima raccolta di un piccolo canto elegiaco, in cui la macchia non di colore, ma di ombra, assume tutta la responsabilità di esprimere la commozione o l'angoscia. E l'assume troppo sì da soffocare il colore dando il senso di intuizioni pittoriche rimaste nel primo lampeggiare o di immagini non poste a fuoco. In quel primo gruppo di opere, indecise tra il levigare e il toccheggiare, una cosa è costante: la sua possibilità di esprimere la più sincera solidarietà con gli infelici, la sua considerazione, il suo rispetto. Nel presentarli su fondi neri di ombre, egli sa raggrupparli e disporli con tanta sapienza di schemi da conferire ai gruppi una monumentalità eroica. Il gruppo dei «Proletari » in cui è ripreso il classico schema piramidale per includervi i derelitti, segnandone il vertice con la testa della vecchia madre, l'altro della « Musica Forzata » hanno una dignità, una nobiltà di atteggiamenti, che, significano una trasfigurazione fantastica. La quale interviene anche nel colore che si libera dalla linea e si espande in modo incerto fra macchiaiolo e impressionistico. Ma, anch'egli, ad un abbandono edonistico al colore non giunse mai; come seppero i napolitani, e non giunse mai a dare alle ombre, dense o fluide, un giusto valore. A volte, l'ombreggiatura diventa allucinata, tormentata, ed è evidente che essa vuole aderire al contenuto. « I ciechi » sono fasciati di ombre nerissime, come il buio che li circonda; nel quadro « Il dolore » tutta la figura è in ombra, sommersa, nel ritratto di « Monaco » l'austerità della vita si fa definizione spietata di volume, cristallizzazione di impasto cromatico. Così avviene che nel «Ritratto della Moglie », tutto il colore si libra dalle ombre, con una gaiezza che è di amore. Pure, questa situazione cromatica di Antonino Gandolfo è veramente eccezionale nella pittura catanese, rimasta legata, come era naturale, alla razionalità della linea. [...] |